Mia madre è un fiume: i Premi del 2011

Mia madre è un fiume: i Premi del 2011

25/08/11

Mia madre è un fiume: recensione di Silvana Ferrari. 20/08/2011

 GRANDI LETTRICI CRESCONO a cura di Silvana Ferrari

Il passaggio che trasforma i genitori da figure protettrici delle nostre vite in persone a loro volta bisognose di cure è uno dei momenti dolorosi, ma di consapevolezza, che segnano l'esistenza adulta, e tanto più sofferto se si tratta di una figlia e di una madre con un rapporto difficile alle spalle. Questo ci racconta Donatella Di Pietrantonio nel suo bel romanzo di esordio Mia madre è un fiume.
La figlia, in uno scambio amorevole, diventa la voce che restituisce memoria alla madre, che la memoria sta perdendo, riprendendo le trame delle loro vite, riannodando i fili di un racconto che parte da lontano, dal nonno materno, il padre di Esperia Viola, detta Esperina, il forte, orgoglioso e testardo Fioravante, contadino sull'Appennino abruzzese. Ricorda le circostanze della nascita di Esperina, prima di sei sorelle, generata come le sue due contigue tra una licenza e l'altra, durante la guerra; la sua infanzia povera, gravata dai lavori dei campi e dalla cura di pecore e capre; la felicità degli anni di scuola trascorsi lontano da casa e le sue zone buie, raccontate una sola volta ma sempre ricordate, delle molestie paterne, che non andarono mai oltre, grazie all'acuta vigilanza materna, la nonna Serafina, che la proteggeva fino ad arrivare al coltello puntato alla gola del colpevole: Per le bestie una sola parola, lascia stare la bambina.
Il viaggio nel passato materno e in quello comune più recente, diventano l'occasione, per la figlia, di un'analisi delle ragioni di un amore da subito andato storto. Un amore non sufficientemente contraccambiato di una madre che anteponeva alla sua creatura sempre altro - il lavoro, il marito, il bestiame, le sorelle - lontana e inaccessibile. Poche attenzioni, tenerezze e contatti. Le sue mani erano d'ossa, mi arrivavano scarse e perpendicolari, i gesti dell'accudimento efficienti, con poche sbavature affettuose. Un amore inconsolabile che nella figlia adulta in qualche momento diventa odio per quel corpo materno divenuto fragile e bisognoso di cure e attenzioni e di cui con fatica ne accetta il declino. E anche rabbia, come nel passato, la madre e la sua mente sfuggono di nuovo alla possibilità di un confronto. Aspettavo ancora di regolare i conti quando mi è sfuggita nella malattia.
Insieme alle vicende familiari nel romanzo sono descritte le storie di comunità di contadini di piccole contrade dell'Appennino abruzzese a partire dalla seconda guerra mondiale. La fatica del lavoro su una terra dura e sassosa, poco generosa, dell'allevamento del bestiame, la miseria che spinge ad emigrare, l'arrivo dei primi segni del progresso: l'elettricità, le prime radio e televisioni, la costruzione di strade e le prime seicento. Un quadro di un paese di contadini e di pastori ormai scomparso, di vite faticose e povere che trovavano momenti di contentezza piena nella celebrazione delle feste tradizionali, delle nascite e dei matrimoni.
La scrittura è coinvolgente, crea emozione, senza essere lacrimevole; è poetica; è dura, vuole sondare l'intricato e aggrovigliato complesso di sentimenti nel rapporto madre e figlia senza veli, mascheramenti e falsi moralismi.
Donatella Di Pietrantonio è abruzzese, vive in provincia di Pescara dove fa la dentista.

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Nel nome della madre: articolo del Corriere della Sera